Su questo link - http://www.linealibera.info/volontariato-quali-criteri-per-i-rimborsi-del-118/
- il giornale online toscano LINEA LIBERA, pone una serie di quesiti al
Governatore della Toscana sul rimborso con cui si remunerano i servizi del 118
in quella Regione.
L’articolista dopo una serie di puntualizzazioni arriva a
chiedere all’illustra presidente di precisare:
- In base a quale criterio economico viene erogato questo contributo alle federazione regionale di rappresentanza,
- Come funzioni il meccanismo di rendicontazione e come sia possibile accedervi.
- Se le Associazioni di volontariato indistintamente, aventi natura giuridica di soggetti “privati”, siano – in quanto destinatari di rimborsi economici pubblici – tenute al rispetto della disciplina di cui alla legge 33/2013 – Dl 14.3.2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).
Si pongono,
insomma, questioni di ordine generali del sistema 118 nazionale ad uno dei
sistemi regionali più efficienti e antesignano dell’affidamento alle forze del
Volontariato di questi servizi.
La ratio è stata
sempre che su certi servizi alla persona bisogna tenere fuori il mercato e la
speculazione del profitto dalle esigenze delle fasce in difficoltà. Purtroppo
l’organizzazione di un sistema sempre più professionalizzato ha inopinatamente
fatto venire meno la spinta ideale del volontariato gratuito.
Del resto anche lo
stesso tentativo di riforma avviato dal governo Renzi e non ancora ultimato non
ha agito in questo senso o, semmai abbia detto qualcosa, ha spinto verso la
novella dell’impresa sociale aprendo ai capitali privati.
La stessa questione
delle organizzazioni di secondo livello (alcove di interessi innegabili che
negli ultimi anni hanno abbondantemente fatto parlare di loro e che sono gestite
da oligarchie funzionariali che niente hanno di volontariato e di dedizione
gratuita verso i sofferenti) diventano sempre più centro di potere e di
direzione anche di servizi di periferia, scollegando inevitabilmente i fenomeni
dai territori se non che per sfruttarli. La volontà politica almeno dei governi
precedenti ha spinto insomma verso questi luoghi vincolando le singole
associazioni ad aderire alle organizzazioni di secondo livello.
Ma il marcio
eclatante che è venuto fuori da mafia capitale in poi, faceva forse capo ad
associazioni sciolte da simili legami e per questo svincolati dai controlli del
secondo livello? Non mi sembra.
E quanto costa
questa intermediazione sterile? L’articolista toscano riferisce a tal proposito
che “Sulla base dell’importo riportato sulla nota/ruolino presentata,
al momento del calcolo dell’importo di ogni singolo servizio viene calcolato –
in aggiunta – un contributo fino a un massimo del 6% (ma di fatto risulta
consolidato al 6% fisso) che viene erogato
direttamente alla Federazione regionale di rappresentanza.”
Ma qual è la natura
di questo costo aggiunto al servizio erogato dalla associazione locale?
Una Royalty sul
brand, una tassa sul marchio??!! Un lascia passare sulla moralità e sull’etica
della gestione che ha tenuto sinora nascosti ed ha poi partorito scandali che
hanno fatto rabbrividire i benpensanti!
Se la legge dovesse
tutelare questo passaggio attraverso le organizzazioni di secondo livello,
dovrebbe anche garantire la democrazia interna e condannare fenomeni
abbondantemente presenti in esse? Proporrei queste questioni al ministro Di
Maio ed al senatore Ugo Grassi che su Vita (http://www.vita.it/it/article/2018/07/25/grassi-m5s-il-codice-del-terzo-settore-va-riscritto/148695/) diceva «Il Codice del Terzo Settore? Va riscritto» e più avanti sostiene “Il mio
personale auspicio è che sarebbe opportuno poter correggere e riscrivere il
Codice per renderlo più comprensibile anche ai non addetti ai lavori. È troppo
complicato ed estremamente disordinato. Questo anche per tutelare le piccole
associazioni che con un testo come questo sarebbero vittime di una totale
confusione.”
Del resto in tal senso andavano anche le proposte del volontariato
siciliano quando una rappresentanza delle maggiori associazioni dell’isola fu
accolta in Senato. Vedi il link:
«Insieme rappresentiamo oltre cinquecento organizzazioni di
volontariato e circa 20mila volontari», disse allora introducendo l’incontro il
presidente del Vol.Si., Santo Carnazzo, manifestando ai senatori la propria
preoccupazione in merito ai contenuti dei decreti attuativi della legge 106 del
2016.
Tra i vari punti criticati, la previsione per i volontari di «un
rimborso forfettario di 150 euro con autocertificazione che, in particolare nel
Sud, si trasformerebbe in lavoro nero»; l’attribuzione a un socio di più voti a
dispetto del principio “una testa un voto”; la «limitazione delle convenzioni
con enti pubblici solo alle spese effettivamente sostenute e documentate che,
in Sicilia e in altre regioni meridionali, metterebbe a rischio servizi
essenziali che la Pubblica Amministrazione non riesce a garantire». E ancora: i
requisiti per la costituzione di reti e l’attribuzione a queste di servizi come
il trasporto sanitario e di emergenza-urgenza, il riferimento ad un’unica
“associazione degli enti del Terzo Settore” che contrasta con la libertà
associativa e non tiene conto delle criticità segnalate, l’incerto destino dei
Centri di Servizio esistenti.
La delegazione siciliana evidenziò poi l’assenza di riferimenti al
rispetto della legalità, su cui i coordinamenti invece chiedono maggiore
attenzione. «Riteniamo – concluse Carnazzo – che molti aspetti dei decreti
indebolirebbero ulteriormente il volontariato meridionale, già in grave
difficoltà, accentuando lo squilibrio rispetto a quello del Nord, più ricco
anche grazie alla diffusa presenza di fondazioni di origine bancaria e di
imprese sociali».