domenica 29 luglio 2018

Dalla Toscana alla Sicilia: le leggi per il Volontariato sono antiche e la riforma inasprisce lo stato delle cose lasciando i problemi sul tavolo e introducendo novità che peggiorano la situazione!!!


Su questo link -  http://www.linealibera.info/volontariato-quali-criteri-per-i-rimborsi-del-118/ - il giornale online toscano LINEA LIBERA, pone una serie di quesiti al Governatore della Toscana sul rimborso con cui si remunerano i servizi del 118 in quella Regione.
L’articolista dopo una serie di puntualizzazioni arriva a chiedere all’illustra presidente di precisare:
  • In base a quale criterio economico viene erogato questo contributo alle federazione regionale di rappresentanza, 
  • Come funzioni il meccanismo di rendicontazione e come sia possibile accedervi.
  • Se le Associazioni di volontariato indistintamente, aventi natura giuridica di soggetti “privati”, siano – in quanto destinatari di rimborsi economici pubblici – tenute al rispetto della disciplina di cui alla legge 33/2013 – Dl 14.3.2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).
Si pongono, insomma, questioni di ordine generali del sistema 118 nazionale ad uno dei sistemi regionali più efficienti e antesignano dell’affidamento alle forze del Volontariato di questi servizi.
La ratio è stata sempre che su certi servizi alla persona bisogna tenere fuori il mercato e la speculazione del profitto dalle esigenze delle fasce in difficoltà. Purtroppo l’organizzazione di un sistema sempre più professionalizzato ha inopinatamente fatto venire meno la spinta ideale del volontariato gratuito.
Del resto anche lo stesso tentativo di riforma avviato dal governo Renzi e non ancora ultimato non ha agito in questo senso o, semmai abbia detto qualcosa, ha spinto verso la novella dell’impresa sociale aprendo ai capitali privati.
La stessa questione delle organizzazioni di secondo livello (alcove di interessi innegabili che negli ultimi anni hanno abbondantemente fatto parlare di loro e che sono gestite da oligarchie funzionariali che niente hanno di volontariato e di dedizione gratuita verso i sofferenti) diventano sempre più centro di potere e di direzione anche di servizi di periferia, scollegando inevitabilmente i fenomeni dai territori se non che per sfruttarli. La volontà politica almeno dei governi precedenti ha spinto insomma verso questi luoghi vincolando le singole associazioni ad aderire alle organizzazioni di secondo livello.
Ma il marcio eclatante che è venuto fuori da mafia capitale in poi, faceva forse capo ad associazioni sciolte da simili legami e per questo svincolati dai controlli del secondo livello? Non mi sembra.
E quanto costa questa intermediazione sterile? L’articolista toscano riferisce a tal proposito che “Sulla base dell’importo riportato sulla nota/ruolino presentata, al momento del calcolo dell’importo di ogni singolo servizio viene calcolato – in aggiunta – un contributo fino a un massimo del 6% (ma di fatto risulta consolidato al 6% fisso)  che viene erogato direttamente alla  Federazione regionale di rappresentanza.”
Ma qual è la natura di questo costo aggiunto al servizio erogato dalla associazione locale?
Una Royalty sul brand, una tassa sul marchio??!! Un lascia passare sulla moralità e sull’etica della gestione che ha tenuto sinora nascosti ed ha poi partorito scandali che hanno fatto rabbrividire i benpensanti!
Se la legge dovesse tutelare questo passaggio attraverso le organizzazioni di secondo livello, dovrebbe anche garantire la democrazia interna e condannare fenomeni abbondantemente presenti in esse? Proporrei queste questioni al ministro Di Maio ed al senatore Ugo Grassi che su Vita (http://www.vita.it/it/article/2018/07/25/grassi-m5s-il-codice-del-terzo-settore-va-riscritto/148695/) diceva «Il Codice del Terzo Settore? Va riscritto» e più avanti sostiene “Il mio personale auspicio è che sarebbe opportuno poter correggere e riscrivere il Codice per renderlo più comprensibile anche ai non addetti ai lavori. È troppo complicato ed estremamente disordinato. Questo anche per tutelare le piccole associazioni che con un testo come questo sarebbero vittime di una totale confusione.”
Del resto in tal senso andavano anche le proposte del volontariato siciliano quando una rappresentanza delle maggiori associazioni dell’isola fu accolta in Senato. Vedi il link:
«Insieme rappresentiamo oltre cinquecento organizzazioni di volontariato e circa 20mila volontari», disse allora introducendo l’incontro il presidente del Vol.Si., Santo Carnazzo, manifestando ai senatori la propria preoccupazione in merito ai contenuti dei decreti attuativi della legge 106 del 2016.

Tra i vari punti criticati, la previsione per i volontari di «un rimborso forfettario di 150 euro con autocertificazione che, in particolare nel Sud, si trasformerebbe in lavoro nero»; l’attribuzione a un socio di più voti a dispetto del principio “una testa un voto”; la «limitazione delle convenzioni con enti pubblici solo alle spese effettivamente sostenute e documentate che, in Sicilia e in altre regioni meridionali, metterebbe a rischio servizi essenziali che la Pubblica Amministrazione non riesce a garantire». E ancora: i requisiti per la costituzione di reti e l’attribuzione a queste di servizi come il trasporto sanitario e di emergenza-urgenza, il riferimento ad un’unica “associazione degli enti del Terzo Settore” che contrasta con la libertà associativa e non tiene conto delle criticità segnalate, l’incerto destino dei Centri di Servizio esistenti.
La delegazione siciliana evidenziò poi l’assenza di riferimenti al rispetto della legalità, su cui i coordinamenti invece chiedono maggiore attenzione. «Riteniamo – concluse Carnazzo – che molti aspetti dei decreti indebolirebbero ulteriormente il volontariato meridionale, già in grave difficoltà, accentuando lo squilibrio rispetto a quello del Nord, più ricco anche grazie alla diffusa presenza di fondazioni di origine bancaria e di imprese sociali».

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